Omaggio a ‘Lo Zoo di Vetro’ – Cortometraggio

Un corto per un piccolo Omaggio

Il cortometraggio che queste righe introducono costituisce il coronamento di un'evoluzione artistica e di un sogno personale maturato dall'amore per il cinema, durante il mio personale percorso accademico, ed è stato oggetto della mia tesi finale per il corso di Laurea Specialistica di II Livello in Arti visive e discipline dello Spettacolo, conseguita nel 2007 con il supporto del Prof. Francesco Arrivo, al quale vanno i miei più cari ringraziamenti.
Questa esperienza scaturisce naturalmente da un progetto scenografico precedentemente sviluppato nell'elaborazione di una breve drammaturgia, in disegni architettonici e bozzetti.
Il mio lavoro si è concentrato su un'unica pièce teatrale, 'Lo Zoo di Vetro' di Tennessee Williams, che inizialmente mi ha attratto per comunanza emotiva e successivamente  mi ha indotto grazie alla sua semplicità a renderlo il primo passo, totalmente reale ed autodidatta, verso il mondo del montaggio video e la post produzione 'fai da te'. Ovviamente il filmato non ha nessuna pretesa da questo punto di vista; è stato girato infatti tramite una videocamera amatoriale, con un set luci 'domestico' con un semplice panno verde come 'green screen'. Inoltre, lo stesso rendering della struttura scenografica è stato realizzato con un comune laptop con tutti i limiti di memoria connessi all'attrezzatura e alle mie possibilità di allora; infine all'epoca della realizzazione mi affacciavo per la prima volta alla produzione video e il mio interesse era volto soprattutto a comunicare un'estetica carica di emozioni, più che alla perfezione nella realizzazione.
Alla base della stessa ideazione scenografica infatti, vi è l'intenzione di proporre una trasposizione del testo per il piccolo schermo volta a coniugarne l'origine teatrale tramite il linguaggio cinematografico e attraverso i mezzi di diffusione televisivi.
In un primo tempo, la scenografia nasce per realizzarsi in un ampio studio televisivo implicando i conseguenti costi di costruzione; la riflessione su un trailer di presentazione dello spettacolo mi ha portato invece su una strada diversa, che segue le orme dell'animazione digitale e si svincola, quasi totalmente, dall'onere economico di una realizzazione effettiva.
La possibilità creativa del singolo è fondamentalmente libera da qualsiasi impedimento materiale: imprescindibile dalla finzione totale, ma non per questo meno potente. Inoltre la surrealtà che pervade 'Lo Zoo di Vetro', tutto imperniato sulla memoria, ha fatto sì che la finzione digitale dichiarata divenisse lo strumento principale dello straniamento dello spettatore.
Lo scopo generale comunque è quello di offrire alla fruizione un prodotto organico basato su un'impostazione architettonicamente teatrale, sviluppato e diffuso con i mezzi propri della televisione e raccontato con tecniche e linguaggio cinematografici.
Se si escludono alcuni documentari e i generi fantasy e fantascienza nel cinema, questa possibilità del canale tv mi sembra inoltre ancora poco esplorata, forse a causa di un pregiudizio persistente sulla commistione di reale e digitale, più probabilmente per i meccanismi del mercato pubblico audio-visivo centrato su canoni usurati e spesso superficiali.
Non credo di peccare di presunzione se intravedo nell'organizzazione di un simile spettacolo qualcosa di ripetibile con altri testi drammaturgici o sceneggiature, certamente attraverso modalità ed estetiche differenti, ma sicuramente con il fine comune di diffondere la cultura e la sensibilità verso modi espressivi complici ma diversi.

Omaggio a 'Lo Zoo di Vetro' - Corto

Omaggio a 'Lo Zoo di Vetro' - Trailer

Omaggio a ‘Lo Zoo di Vetro’ – Prefazione alla drammaturgia

Omaggio a 'Lo Zoo di Vetro' - Prefazione alla drammaturgia

Nel 1945, Lo Zoo di Vetro afferma la fama del giovane Tennessee Williams sulla scena del teatro americano del dopoguerra. Il successo sarà consolidato negli anni seguenti da testi, quali Un tram che si chiama desiderio (1947) e La rosa tatuata (1951), che sc
andagliano le profondità delle passioni, delle violenze e delle pulsioni nascoste dell’animo umano nelle sue relazioni familiari e sociali, e che portano in luce le sottili e morbose inquietudini di un’epoca testimone delle atrocità della guerra e ancora soverchiata da una mentalità ormai soffocante.185px-Tennessee_Williams_with_cake_NYWTS.jpg

Tratto da un soggetto di Williams stesso, The Glass Menagerie è impregnato di note comuni all’esperienza personale dell’autore: è ambientato nel 1939 circa (vari riferimenti nel testo alla politica estera, Guernica e il trionfo del dittatore Franco in Spagna, inducono a confermare questa data) a St. Louis, metropoli dello stato del Missouri, dove, proprio in quegli anni, il drammaturgo porta a compimento i suoi studi universitari; fra i pochi personaggi, Tom è un omonimo del suo creatore e le origini della madre Amanda, ovvero gli Stati Uniti del sud, rispecchiano le stesse di Thomas Lanier, nato e cresciuto nel Mississippi, al quale deve lo pseudonimo di Tennessee.

Il tema della lontananza ricorre sottilmente in varie forme emotive: l’assenza della figura paterna e la partenza del figlio Tom alla fine del dramma sono sinonimi della comune fuga alla ricerca di una vita autentica, esperita nel viaggio, e dell’esigenza interiore di porre una distanza geografica fisica da un passato doloroso; la nostalgia di Amanda per la sua giovinezza lungo le rive del Mississippi sono un aspetto del fenomeno emigrazione che porta in grembo la conseguente sensazione di totale sradicamento e non appartenenza, la chiusura, ma anche l’opposta volontà di allontanarsi e cambiare. In questo senso a mio avviso si racchiude l’essenza poetica della dichiarazione fondamentale ‘Il dramma è memoria, poiché è il ricordo dell’esperienza vissuta che costituisce gran parte dell’indole di una persona: le grandi gioie e il lungo dolore si sedimentano e condizionano il suo relazionarsi con il mondo e la sua emotività, come pure la sua presa di coscienza e l’emergere dei desideri quali mancanze.

Questa angolazione psicologica sul dramma rivela un’attuale e profonda indagine delle dinamiche familiari e dei nodi genealogici dolorosi nella loro tendenza ad iterarsi e apre un’interessante riflessione sull’essere attivi o passivi e sui ruoli maschile e femminile nella società moderna: il peso morale di norme educative rigide e sorpassate e la paura del pregiudizio; la forza e la capacità del singolo di mantenere un contatto con una realtà che delude per non essere sognatori prigionieri nella memoria.



Il progetto scenografico

In questa chiave di lettura ho pensato una trasposizione televisiva de Lo Zoo di Vetro: una visione da lontano che valorizza i confini dello studio televisivo come lo spazio dato ad un sognoOmaggio-a-Lo-Zoo-di-Vetro-frame21.  In esso lo spettatore è invitato a riflettere attraverso il diretto appello di Tom, attore e narratore, e mediante l’uso della scenografia che si maschera di semplicità per suggerire dense e rarefatte atmosfere della memoria, quindi prive del superfluo, ma cariche di sfumature di luce e di oscurità, dove il colore assume valenza simbolica.

Le indicazioni scenografiche di Tennessee Williams sull’appartamento dei Wingfield sono un libero spunto per concentrare fisicamente l’azione attorno a due elementi essenziali: una piattaforma rettangolare a tre metri e mezzo dal suolo, a cui vi si accede tramite una rampa di scale e una piattaforma più piccola di raccordo; una grande scala antincendio, obliqua rispetto al lato corto della prima, che si eleva verso l’alto con diverse rampe ad U.

La piattaforma rappresenta l’appartamento dei Wingfield ed è priva di muri perimetrali, sostituiti idealmente da una leggera struttura di pali in ferro, nei punti nodali; è completamente ricoperta da un gioco di piastrelle esagonali; una parete di tela bianca la divide a metà parallelamente al lato lungo: su di essa un’apertura quadra alta tre metri con una cornice di legno bianco è la via di comunicazione fra due aree ipotetiche, il soggiorno e la cucina – sala da pranzo, come pure tra due mondi. In ognuna l’arredamento è semplice e sobrio e per lo più in gradazioni chiare; un’altra caratteristica dei mobili è l’assenza del colore, a favore di una vasta gamma di grigi.

In una zona quindi si distribuiscono un divano con fodera a tenui ricami floreali, un alto comodino scuro con un grammofono e un tavolino bianco con una macchina da scrivere e una sedia; scintillanti animaletti di cristallo pendono da un’invisibile rete ancorata alla struttura di pali metallici: questa scelta paragona lo zoo di vetro ad una costellazione di stelle e suggerisce la lontananza dell’universo creativo di Laura, paralizzato nella contemplazione e nella sfera della sua fragile infanzia.Omaggio-a-Lo-Zoo-di-Vetro-frame12famiglia

Nell’area cucina – sala da pranzo l’arredo inneggia al bianco e con esso all’assenza; si compone infatti soltanto di un tavolo circolare con quattro sedie, sul cui centro pende uno squallido lampadario, di un piano cottura con cappa e di una porta che dà sul nulla.

La piattaforma sopraelevata è sostenuta da una serie di alti pilastri e travature in ferro, che nel loro susseguirsi rimandano l’illusione di un anonimo ambiente pubblico metropolitano, denso di ombre.

La grande scala antincendio si erge in altezza più di quanto la piattaforma si dilata in orizzontale; poeticamente simboleggia un ponte fra sogno, inconscio e realtà, condensa il desiderio di fuga ed esprime nel movimento in essa implicito l’essenza stessa della vita. Per questo motivo è un elemento slegato dall’appartamento: si avvicina ad esso con
l’estremità di un pianerottolo, ma non c’è collegamento fra le due costruzioni. Sulla piattaforma infatti le proporzioni e le tonali
tà, nonché il vuoto intorno, suggeriscono metafisiche atmosfere cariche di sospensione onirica e di surreale illusione.

Registicamente il sapore di una scena è fortemente determinato dalla fotografia morbida e soffusa sugli attori, dal taglio deciso delle ombre negli ambienti
e sicuramente dall’uso delle proiezioni che concorrono in maniera fondamentale nel completare la scenografia: nell’equilibrio della messa in scena infatti, esse sono una delle poche fonti di colore; quest’ultimo si rivela intenso e simbolico: appartiene per eccellenza ai cieli video proiettati, quasi a sottolineare la voglia di libertà latente di Tom oppure la lontananza e la fuga del padre; il rosso è il colore della passione, condensata nel ritorno delle rose, o della collera, durante il litigio; il blu quasi elettrico, per surrealtà e dimensione di sogno, rappresenta la solitudine di Laura e l’intimità con il suo zoo di vetro, nonché la profondità della notte, dell’inconscio. L’insistenza del bianco e nero invece sottolinea il persistere della memoria, come un ritratto pregno di ricordi.


Note di regia sui personaggi

Le riprese e le sequenze si legano psicologicamente al soggetto inquadrato adattando i movimenti di macchina al carattere del personaggio o alla situazione drammaturgica.

Omaggio-a-Lo-Zoo-di-Vetro-frame31Tom, e in misura marginale anche Jim, il visitatore, è l’unica figura attiva del dramma: rivestendo anche il ruolo del narratore si pone in rapporto dialettico con se stesso e lo spettatore. Ne deriva che è il solo personaggio ad usufruire di tutto l’allestim
ento scenografico: sulla piattaforma emerge la sua crisi interiore nelle relazioni stravolte con la madre e la sorella; fra i pilastri sottostanti ribollono le sue pulsioni inconsce, mentre sulla scala antincendio si verificano le sue lucide prese di coscienza. Il movimento e le lunghe fughe prospettiche caratterizzano questo personaggio, evidenziando il
 suo desiderio di partire, di allontanarsi, di dimenticare, ma anche condensando nei colori la sua tensione creativa espressa dal suo amore per la poesia.

La regia nei suoi confronti si orienta in direzione interno – esterno, cioè in un senso di apertura: le visioni di Tom infatti sono sicuramente quelle più legate alla realtà, in una dimensione interiore tesa verso il futuro e nuove esperienze.

Laura è il contrappunto femminile di Tom e l’occhio registico su di lei è totalmente introspettivo; fa eco quindi un vettore opposto, esterno – interno, che
si riflette in poetiche immagini intime dello zoo di vetro, specchio della sua fragile anima. La coscienza di questo personaggio è paralizzata emotivamente ad uno stadio infantile; nel dramma si evolve, attraverso tre rotture profonde con le figure maschili, da una paludosa staticità ad una consapevole rassegnazione alla propria debolezza e passività. Le tre tappe della sua implosione sono: innanzitutto l’abbandono del padre
nel passato; poi la disillusione nell’amore portata da Jim; infine la partenza del fratello, quale condanna alla solitudine.

Alla timidezza e alla chiusura di Laura si contrappone l’impulsività e la petulanza della madre. In Amanda una grande forza e convinzione nella vita sono prigioniere del suo atteggiamento nostalgico per la sua gaia adolescenza e di un probabile rimorso per un ‘tragico errore’ commesso in gioventù. L’ansia dell’abbandono si manifesta nel suo essere soffocante e spesso marcatamente inclinata verso una dimensione material
e dell’esistenza, sorda all’ascolto delle vere esigenze dei figli. Tutta la sua distrazione è sottolineata durante i vaneggi dei ricordi dalle proiezioni che si animano come descrizioni superficiali e ambigue di un passato lontano ormai avulso dalla realtà.

La figura paterna non ha nome e per questo motivo nell’allestimento si presenta come una proiezione a foggia di grande ritratto sulla parete divisoria della piattaforma; qui appare e scompare nei momenti significativi del dram
ma, rendendo pesante la sua assenza e insinuando l’ironia beffarda della sorte con il suo sorriso. Egli porta il reale carico di debolezza e di mancanza di volontà, trasmesso a Laura, e la stessa smania di fuga che erediterà Tom, suscitata da chissà quale soffocamento psicologico subito in un remoto passato che è dato solo supporre.

La conclusione è un’iterazione del ciclo genealogico e rinsalda come roccia, a dispetto della separazione fisica, il legame emotivo dei due fratelli, relegandolo per sempre nel suggello della memoria.



Le fonti d'ispirazione e d'omaggio

L’orientamento estetico generale si sofferma sul senso di solitudine e sulla dimensione riflessiva dell’esistenza; la resa della sospensione e dell’immobilità di alcune situazioni drammaturgiche trova lontane radici pittoriche nella metafisica di De Chirico, mentre la disillusione nella quotidianità, le atmosfere rarefatte e la malinconica desolazione interiore persa nella frenetica vita cittadina si imparentano strettamente alle visioni cinematografiche dei dipinti di Edward Hopper, quali, fra gli altri, New York Movie (1939) e il famoso Nighthawks (1942).

Il cinema nella pièce possiede una doppia valenza. Per quanto riguarda i contenuti e la simbologia interna, rappresenta lo ‘zoo di vetro’ di Tom, ovvero la sua via di fuga dallo squallore della quotidianità, ma anche la sua gabbia, come di molti altri in quegli anni

La gente invece di muoversi va al cinema! I personaggi di Hollywood hanno le avventure di tutti gli uomini d’America e tutti gli uomini d’America si seggono in una sala buia e guardano quelli che hanno le avventure.

Da un punto di vista estetico contemporaneo invece, il cinema diventa un riferimento storico, nella resa delle atmosfere e degli ambienti, e una citazione più o meno sottile di inquadrature, di
sagome e di debiti ideali nella fase di creazione come in quella del montaggio.

Sicuramente le prospettive di desolati viali urbani americani de Il bacio dell’assassino (1955) di Stanley Kubrick sono state fonte di preziosa ispirazione per il personaggio di Tom. Dello stesso illustre regista, Lolita (1962) è stato un magistrale esempio di movimenti di macchina in interni, da una stanza all’altra attraverso le pareti.

Il palpito popolare della città americana dagli anni ‘20 ai ’40 è stato lungamente meditato attraverso una serie di famosi film contemporanei: entrambi di Francis Ford Coppola, Il Padrino (1972), la cui vicenda inizia nell’immediato dopoguerra, e Il Padrino – Parte seconda (1974), i cui flash-back sul passato di Vito Corleone hanno luogo nella Little Italy dei ruggenti anni Venti; C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone è un riferimento importante per scorci prospettici e arredamento, ma anche e soprattutto per quel senso nostalgico di un passato ormai irrimediabilmente perduto e chiuso nel ricordo; The Aviator (2003) di Martin Scorsese costituisce più che altro una risorsa di accorgimenti registici e stilistici, per la cura nel sottolineare lo stato d’animo psicologico del protagonista miliardario, interpretato da Leonardo Di Caprio.

Se le pellicole citate attualizzano lo sguardo su quei decenni, alcuni film dell’epoca sono stati un punto imprescindibile per afferrarne l’autentica atmosfera: alcune visioni notturne metropolitane di Scarface (1932) di Howard Hawks; il fermento del mondo della stampa e le angolazioni ardite delle inquadrature di Orson Welles in Quarto Potere (1939 - 1941).

Ninotchka (1939) di Ernst Lubitsch, Il bacio della pantera (1943) di Jacques Tourneur e Notorius – L’amante perduta (1946) di Alfred Hitchcock sono stati la base per la costruzione delle figure femminili ne Lo Zoo di Vetro: la fredda semplicità di Greta Garbo, un binario guida per l’atteggiamento e le vesti di Laura; la passionalità e l’impulsività di Ingrid Bergman, nonché l’aria infantile di Simone Simon, un filo conduttore per il personaggio di Amanda.Tutti e tre i film inoltre, seppure con evidenti diversità di stile e di obiettivi, sviscerano la crescita interiore di donne private dell’esempio di un’equilibrata figura paterna e alla disperata ricerca del vero amore e del riscatto di se stesse attraverso il rapporto con un uomo, che non mascheri l’insicurezza dietro il velo dell’assenza.