Applicazioni del 3d

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Applicazioni del 3d

Non posso certo affermare che il 3d è una mia specialità, ciò nonostante progettare e realizzare un oggetto in 3d mi è spesso d’aiuto per una visualizzare il design di un interior, durante una ristrutturazione edile, oppure per creare dei bozzetti di un progetto scenografico, oppure per realizzare un’insegna o un logo.

bagno grande6 per slideIl mio interesse nel 3d è finalizzato strettamente allo scopo e al prodotto ed è uno strumento di vera e propria nascita dimensionale nello spazio fisico dell’oggetto in questione o di visualizzazione estetica d’insieme di un ambiente esistente o fittizio.

Inoltre un buon progetto 3d così indirizzato ottimizza i costi di spesa nella realizzazione pratica dell’oggetto o dell’ambiente, portando alla luce gli elementi necessari ed il superfluo.

Facciamo finta che…

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contributo-video-ecg
contributo-video-bancomat
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Facciamo finta che…

Come nella vita reale, anche su un set cinematografico gli attori hanno a che fare con i più diversi dispositivi tecnologici e sullo schermo spesso vediamo inquadrati altri schermi, di computer per esempio oppure di macchinari. Un famoso service di noleggio romano di attrezzature tecnologiche di vario genere e di diverse epoche, 2F CINERENT S.R.L., per esempio, mi ha commissionato nel tempo un contributo video per un reale bancomat (modificato opportunamente dal bravissimo titolare del service per le esigenze della finzione), per un macchinario da elettrocardiogramma ospedaliero e anche per delle slot machine.

bancomat

macchinario ECG

Schermata 2016-06-14 alle 16.08.39Mi è successo inoltre di progettare e mettere in scena moltissime presentazioni power point di qualsiasi genere, oppure altre applicazioni interattive fittizie per computer, come un software gps o un registratore vocale, che in base a determinate azioni dell’utente producono un risultato oppure un altro.

Sempre della serie facciamo finta che, studiando web design presso Pc Academy mi sono cimentata nella produzione di siti web fittizi sperimentando approfonditamente l'uso di HTML5, CSS3, SEO, CMS... Nelle immagini dello slide alcuni layout realizzati e di seguito un paio di link a siti realizzati:

fedegrafica.altervista.org: statico in HTML5, completamente responsive

mmm.fedegrafica.com: e-commerce, realizzato con Prestashop

Ovviamente nell'ottica della realizzazione di un sito web reale, come questo costruito con WordPress, si tratta di esprimere il web design ben oltre il facciamo finta che, ma creando con il cliente il sito web più soddisfacente le sue esigenze, implementandolo con le funzioni più adatte alle sue necessità.

Flatland – Drammaturgia

Flatland - Drammaturgia

Introduzione - Si spengono le luci. Una vibrazione sonora aumenta gradualmente di volume, mentre il sipario si apre lentamente. Sul palcoscenico buio, una luce fredda illumina piano piano la prima scena: un grande pannello, foggiato come un immenso circuito verde, fronteggia lo spettatore; è posto in verticale su una vasta pedana inclinata dov’è proiettata, come un titolo, nonché un omaggio, la dedica dell’autore ai lettori di Flatland.

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Lateralmente gli schermi di proiezione trasmettono un immagine simile a quella del pannello, ma disturbata, come se ‘stessero cercando di sintonizzarsi’ sul giusto canale, fino ad una stabilizzazione temporanea della visione. (BOZZETTO 1)

Mentre la musica incalza, la grande piattaforma comincia a cadere lentamente, ribaltandosi verso lo spettatore. A circa metà del suo moto, il narratore inizia a recitare il paragrafo 1 - Sulla natura della Flatland. Man mano si scorgono i tre enormi rulli tipografici inclinati lungo l’altra faccia della piattaforma. Da sotto questa specie di rampa di tela che corre verso la graticcia, la luce porta in superficie la mappa in bianco e nero di Flatland.

Frattanto che la voce narrante prosegue con i paragrafi 2 - Sugli abitanti della Flatland, 3 - Sulle Donne, i rulli cominciano a svolgersi ruotando e su di essi vengono proiettate in movimento i primi ‘personaggi’ di Flatland. (BOZZETTO 2)

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Questi ultimi non sono altro che delle brevi linee luminose e delle sottili cornici di forma geometrica regolare bianco fluorescenti, entro le quali sono incastrati dei corpi umani o parti di essi in movimento. Ciò sta a simboleggiare la condizione interiore degli abitanti del mondo a Due Dimensioni; la loro prigionia, ma anche la loro inconsapevolezza e chiusura mentale. Sugli schermi di proiezione laterale, si susseguono le immagini di fitte metropoli viste dapprima quasi da ‘satellite’, poi man mano sempre più ravvicinate; il momento di passaggio da una all’altra avviene tramite una fievole dissolvenza seguita da una striscia di interferenza.

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Il sonoro non ha interruzioni; rimane di sottofondo quando la voce racconta, aumenta di volume nei cambi scena e nei momenti cruciali della storia, come nelle pause fra un argomento e un altro. Per esempio nel passaggio alla lettura del paragrafo 4 - Sui nostri metodi per riconoscerci a vicenda: qui sul rullo le figure geometriche mimano la descrizione, non in modo affettato ed evidente, ma come se avesse luogo un mercato con il relativo brulichio di immagini, rumori e voci.(BOZZETTO 3)

Durante il paragrafo 5 - Sull’antica pratica della pittura, 6 - Sul Progetto di Legge per il Colore Universale, 7 - Sulla repressione della Rivolta Cromatica,

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le tele dei rulli e le cornici luminescenti delle figure geometriche si colorano gradualmente di molte tinte diverse creando una visione tanto variegata quanto monotona e cadenzata era quella precedente nella tonalità dei grigi. Questo trionfo di colore raggiunge il suo apice con l’uccisione di Cromatiste (BOZZETTO 4a e 4b), il promotore della rivolta cromatica, per tornare sfumando lentamente al bianco e al nero che accompagna gli ultimi due paragrafi conclusivi della prima parte della sceneggiatura, 8 - Sui nostri Preti e 9 - Sulla dottrina dei nostri Preti.

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Un’intensa interruzione musicale unita al formarsi della scenografia successiva, il mondo a Una Dimensione, segnano un passaggio fondamentale anche nella struttura del testo che ora viene esposto sotto forma di dialogo soprattutto.

In questa scena i rulli passano in secondo piano e non sono retro-illuminati; davanti ad essi, dall’alto e da terra scendono delle strisce metalliche colorate. Sull’avanscena viene proiettato una specie di vasto e sfrangiato codice a barre distorto prospetticamente, il cui fulcro è costituito da tanti piccoli tubi a neon allineati lungo un tubo verticale, la Lineland, posto al centro del proscenio. Vicino ad Esso e parallelamente alla linea di boccascena, scenderà dall’alto il Quadrato, ugualmente composto di tubi a neon.(BOZZETTO 5)

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All’inizio del paragrafo 10 - Com’ebbi una visione della Lineland, l’introduzione sonora deve rendere quel frinire molteplice descritto nelle note in corsivo della sceneggiatura. Questo suono confuso e cinguettio continua di sottofondo ad intervalli durante i dialoghi, finchè al termine del paragrafo 11 - Sui miei vani tentativi di spiegare la natura della Flatland, diventa quasi uno sciame di zanzare impazzite, il grido di guerra degli abitanti della Lineland. Il rumore porta oscurità sulla scena : i tubi a neon, le strisce e la proiezione sulla linea di boccascena spariscono coperti dal buio e tutto ritorna come prima.

I paragrafi 12 - Su di uno Straniero venuto dalla Spaceland, 13 - Sui vani tentativi dello Straniero di rivelarmi a parole i misteri della Spaceland, e parte del

14 - Come la sfera, avendo tentato invano con le parole, fece ricorso ai fatti, sono ancora raffigurati sui rulli che però interrompono momentaneamente il loro moto di rotazione per soffermarsi sulla casa pentagonale del Quadrato nella quale hanno luogo i dialoghi. In questo frangente, la Sfera, sorta di palla incandescente dalla voce femminile, rimarrà dietro ai rulli e su di essi, nel momento in cui seca il piano di Flatland, come proiezione. (BOZZETTO 6)

bozzetto 6

Nel momento in cui il Quadrato entra nelle Tre Dimensioni, i rulli scorrono verso l’alto, fermandosi al termine dei binari inclinati, che fungono loro da guida. Si scopre la Spaceland, non ancora illuminata chiaramente, mentre sui rulli, ridotti ormai a fondali, accadono gli ultimi fatti ambientati nel Palazzo del Gran Consiglio di Flatland (15 - Come venni in Spaceland e quello che vi vidi). Le proiezioni laterali nel frattempo rimangono al buio (BOZZETTO 7).

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Il paragrafo 16 - Come, per quanti altri misteri della Spaceland la Sfera mi mostrasse, io continuassi a desiderarne di più; e quello che ne venne, porta in piena luce finalmente il mondo a Tre Dimensioni, con il Quadrato, evolutosi in Cubo, e la Sfera fluttuanti su di esso. Allo spettatore si presenta ora la visione di un qualcosa di ambiguo,surreale, ma, in un certo senso, familiare: un paesaggio pseudo-industriale costituito da circuiti, transistor e accumulatori giganteschi che formano ‘torri’, piccole e grandi, ‘palazzi’, ‘edifici’ e ‘fabbriche’. Sulle proiezioni laterali, nel frattempo la lenta rotazione di un ‘pianeta’ porta lentamente l’alba di un nuovo giorno, che culmina con una luce quasi accecante.(BOZZETTO 8)

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In conclusione del paragrafo 16, avviene nuovamente un repentino ‘cambio di dimensione’; il passaggio deve comunicare il precipitare in un baratro, nell’utero dell’adimensionale e ciò accade per mezzo dello strumento sonoro. Tutto il resto viene rapidamente inghiottito dall’ombra.Il racconto (17 - Come la Sfera m’indusse a una visione) prende ora una piega mistica e sospesa: una sola luce pulsante viene dal fondo della scena, Essa è il Punto, unico abitante del mondo Senza Dimensioni. (BOZZETTO 9)

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L’epilogo finale (18 - Conclusione ovvero ‘Come in seguito cercai di diffondere la Teoria delle Tre Dimensioni con altri mezzi, e quali furono i risultati’), con il ritorno alla sola voce narrante, è preceduto da una pausa di silenzio e di oscurità, durante la quale la piattaforma si alza nuovamente riportando la scena iniziale del grande circuito verde. Subito dopo, quando ricominciano voce e musica, piano piano sulla linea di boccascena scende gradualmente dall’alto una proiezione che rappresenta la prigione del Quadrato e che giunge a terra, con fragoroso suono metallico, nel momento in cui la narrazione ha termine. (BOZZETTO 10)

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Flatland – Spettacolo scenografico a più dimensioni

Flatland - Spettacolo scenografico a più dimensioni

Questo progetto di tesi, realizzato nel 2004, Foto E. A. Abbottsi pone l'obiettivo di narrare visivamente il racconto matematico omonimo 'Flatland', di Edwin Abbott, proponendo uno spettacolo scenografico per il teatro. Il tema centrale è la dimensione, o meglio le dimensioni, e come esse affettano la vita del singolo e della società, in un senso oltre che fisico, soprattutto estetico e morale.

Flatlandia, breve racconto matematico, fu pubblicato anonimo nel 1882. L’autore in realtà era il reverendo Edwin Abbott, professore universitario nonché intellettuale di ampie vedute. Fra le sue numerose opere, da manuali scolastici a saggi teologici, questo testo spicca per originalità e carica profetica, velate da un linguaggio in linea con la satira e lo humour inglesi di fine ‘800, quindi ironico ma didascalico.

flatland-foto-modellino-3Abbott descrive un mondo piano, ridotto a due sole dimensioni, dove prende vita una società rigidamente controllata e divisa in caste, caratterizzate da una specifica configurazione geometrica. Ad esempio: il gradino più basso è rappresentato dai triangoli isosceli che costituiscono la plebaglia e l’esercito; i triangoli equilateri sono i commercianti; i quadrati, gentiluomini della media borghesia; i pentagoni, avvocati e così via, man mano che si sale con il numero dei lati fino a giungere all’ aristocrazia, raffigurata dai circoli, sacerdoti a capo del sistema.

E’ un mondo chiuso, governato da leggi troppo spesso crudeli e spietate, atte a sopprimere qualsiasi possibilità di cambiamento, di innovazione, di miglioramento; l’individuo viene indotto, dai pochi che detengono il potere, a pensare solo alla sua configurazione esteriore, il che determina la monotonia della vita di Flatland, dove non c’è posto per l’immaginazione, tanto più che il panorama visivo di tutti è qui logicamente limitato ad una linea retta.

Il paragone con la società contemporanea è immediato e agghiacciante, ma lo scopo dell’autore va ben oltre. Il racconto procede infatti con l’esplorazione di altre dimensioni: il quadrato protagonista dapprima sogna il mondo ad una dimensione, Lineland; poi, l’incontro con una sfera gli apre la visione della Terza Dimensione, trascinandolo in un viaggio mistico e trascendentale che si concluderà nell’adimensionale di Pointland. Quando il quadrato tenterà di divulgare il Vangelo delle Tre Dimensioni in Flatland verrà emarginato e imprigionato a vita da una società che non è pronta all’evoluzione e alla consapevolezza spirituale, abituata meccanicamente alla comodità e allo squallore dell’ignoranza.

flatland-foto-modellino-6Al di là del valore profetico di questo racconto dal punto di vista scientifico, in quanto anticipatore del concetto di relatività di Einstein, esso è intriso di grande spiritualità e pungente ironia che, tramite la semplicità e l’assurdità della trama, sono tutt’oggi di una validità disarmante.

Lo spettacolo che ho immaginato per Flatland mira a coinvolgere gradualmente lo spettatore fino ad interrogarlo direttamente sulla sua disposizione spirituale, critica, emozionale e soprattutto immaginativa e creativa. L’intenzione che mi guida è quella di costruirlo in maniera tanto semplice   e logica quanto assurda e sperimentale; deve comunicare, tramite l’immediatezza del mezzo teatrale, unita a proiezioni surreali, una stratificazione multidimensionale simultanea, inizialmente disorientante e straniata fino poi alla totale identificazione nella vicenda del quadrato protagonista e nel messaggio di apertura spirituale, intellettuale e immaginativa che Abbott pone in termini di incalzanti interrogativi, senza una vincolante risposta.

Innanzitutto ho eliminato quasi totalmente la presenza fisica in scena dell’attore, riducendola soprattutto ad una o più voci fuori campo visivo, accompagnate da musica analogica; l’effetto sonoro complessivo deve indurre nello spettatore disagio e movimento interiore.

flatland-foto-modellino-8A ciò si aggiunge la scenografia che costruisce e scandisce materialmente lo spettacolo; le idee fondamentali attorno alle quali ruota sono ispirate alle grandi invenzioni comunicative dell’uomo. La descrizione dello strano mondo di Flatland è dipinta infatti su tre rulli giganti che girano svolgendosi come una pergamena; una grande e monodirezionale macchina tipografica, messa in moto da chissà quale entità astratta, che propone la visione allucinata di un mondo super-razionale dove si muovono immagini di corpi inconsapevoli di esistere e costretti in configurazioni geometriche.

La grande rivelazione delle tre dimensioni avviene invece con un graduale sollevamento dei rulli che svela sotto di essi la mitica Spaceland; nella mia visione essa non è altro che una serie di circuiti e transistor ricavati dall’interno di un televisore e rivisitati come una città fantasma. Il riferimento alla televisione lo pongo sia come traguardo comunicativo, ma soprattutto come ulteriore binario mentale che blocca l’apertura creativa.

Note introduttive alla sceneggiatura

Non è stato semplice mettere mano al testo originale per adattarlo ad una sceneggiatura teatrale. Mi si sono presentati infatti diversi problemi di ordine logico, concettuale e linguistico. Innanzitutto ho deciso di mantenere la struttura generale del testo diviso in due parti: la prima descrittiva, che ho reso tramite un’unica voce narrante fuori campo; la seconda, mista di dialoghi e di narrazione, che ho trasformato interamente in dialogo diretto, se si eccettua l’epilogo finale, per facilitare l’aderenza ai movimenti di scena e snellire tutto il testo. Successivamente ho analizzato i singoli paragrafi, valutandone la maggiore o minore importanza ai fini del racconto e procedendo conseguentemente con i tagli necessari. Questa è stata la parte più complessa poiché ha richiesto grande coerenza e capacità di sintesi. Nel fare ciò, ho scelto di non intaccare quasi le frasi, che invece ho composto insieme come in un collage, senza perdere così la forza dei concetti e le parole dell’autore con l’eccezione dei termini arcaici e di alcuni periodi troppo didascalici e ripetitivi, dovuti in parte alla traduzione italiana, in parte alla dialettica inglese.

In conclusione è stato un intervento riassuntivo deciso, ponderato, con tagli notevoli ma non tali da stravolgere le intenzioni generali dell’autore.

Omaggio a ‘Lo Zoo di Vetro’ – Cortometraggio

Un corto per un piccolo Omaggio

Il cortometraggio che queste righe introducono costituisce il coronamento di un'evoluzione artistica e di un sogno personale maturato dall'amore per il cinema, durante il mio personale percorso accademico, ed è stato oggetto della mia tesi finale per il corso di Laurea Specialistica di II Livello in Arti visive e discipline dello Spettacolo, conseguita nel 2007 con il supporto del Prof. Francesco Arrivo, al quale vanno i miei più cari ringraziamenti.
Questa esperienza scaturisce naturalmente da un progetto scenografico precedentemente sviluppato nell'elaborazione di una breve drammaturgia, in disegni architettonici e bozzetti.
Il mio lavoro si è concentrato su un'unica pièce teatrale, 'Lo Zoo di Vetro' di Tennessee Williams, che inizialmente mi ha attratto per comunanza emotiva e successivamente  mi ha indotto grazie alla sua semplicità a renderlo il primo passo, totalmente reale ed autodidatta, verso il mondo del montaggio video e la post produzione 'fai da te'. Ovviamente il filmato non ha nessuna pretesa da questo punto di vista; è stato girato infatti tramite una videocamera amatoriale, con un set luci 'domestico' con un semplice panno verde come 'green screen'. Inoltre, lo stesso rendering della struttura scenografica è stato realizzato con un comune laptop con tutti i limiti di memoria connessi all'attrezzatura e alle mie possibilità di allora; infine all'epoca della realizzazione mi affacciavo per la prima volta alla produzione video e il mio interesse era volto soprattutto a comunicare un'estetica carica di emozioni, più che alla perfezione nella realizzazione.
Alla base della stessa ideazione scenografica infatti, vi è l'intenzione di proporre una trasposizione del testo per il piccolo schermo volta a coniugarne l'origine teatrale tramite il linguaggio cinematografico e attraverso i mezzi di diffusione televisivi.
In un primo tempo, la scenografia nasce per realizzarsi in un ampio studio televisivo implicando i conseguenti costi di costruzione; la riflessione su un trailer di presentazione dello spettacolo mi ha portato invece su una strada diversa, che segue le orme dell'animazione digitale e si svincola, quasi totalmente, dall'onere economico di una realizzazione effettiva.
La possibilità creativa del singolo è fondamentalmente libera da qualsiasi impedimento materiale: imprescindibile dalla finzione totale, ma non per questo meno potente. Inoltre la surrealtà che pervade 'Lo Zoo di Vetro', tutto imperniato sulla memoria, ha fatto sì che la finzione digitale dichiarata divenisse lo strumento principale dello straniamento dello spettatore.
Lo scopo generale comunque è quello di offrire alla fruizione un prodotto organico basato su un'impostazione architettonicamente teatrale, sviluppato e diffuso con i mezzi propri della televisione e raccontato con tecniche e linguaggio cinematografici.
Se si escludono alcuni documentari e i generi fantasy e fantascienza nel cinema, questa possibilità del canale tv mi sembra inoltre ancora poco esplorata, forse a causa di un pregiudizio persistente sulla commistione di reale e digitale, più probabilmente per i meccanismi del mercato pubblico audio-visivo centrato su canoni usurati e spesso superficiali.
Non credo di peccare di presunzione se intravedo nell'organizzazione di un simile spettacolo qualcosa di ripetibile con altri testi drammaturgici o sceneggiature, certamente attraverso modalità ed estetiche differenti, ma sicuramente con il fine comune di diffondere la cultura e la sensibilità verso modi espressivi complici ma diversi.

Omaggio a 'Lo Zoo di Vetro' - Corto

Omaggio a 'Lo Zoo di Vetro' - Trailer

Omaggio a ‘Lo Zoo di Vetro’ – Prefazione alla drammaturgia

Omaggio a 'Lo Zoo di Vetro' - Prefazione alla drammaturgia

Nel 1945, Lo Zoo di Vetro afferma la fama del giovane Tennessee Williams sulla scena del teatro americano del dopoguerra. Il successo sarà consolidato negli anni seguenti da testi, quali Un tram che si chiama desiderio (1947) e La rosa tatuata (1951), che sc
andagliano le profondità delle passioni, delle violenze e delle pulsioni nascoste dell’animo umano nelle sue relazioni familiari e sociali, e che portano in luce le sottili e morbose inquietudini di un’epoca testimone delle atrocità della guerra e ancora soverchiata da una mentalità ormai soffocante.185px-Tennessee_Williams_with_cake_NYWTS.jpg

Tratto da un soggetto di Williams stesso, The Glass Menagerie è impregnato di note comuni all’esperienza personale dell’autore: è ambientato nel 1939 circa (vari riferimenti nel testo alla politica estera, Guernica e il trionfo del dittatore Franco in Spagna, inducono a confermare questa data) a St. Louis, metropoli dello stato del Missouri, dove, proprio in quegli anni, il drammaturgo porta a compimento i suoi studi universitari; fra i pochi personaggi, Tom è un omonimo del suo creatore e le origini della madre Amanda, ovvero gli Stati Uniti del sud, rispecchiano le stesse di Thomas Lanier, nato e cresciuto nel Mississippi, al quale deve lo pseudonimo di Tennessee.

Il tema della lontananza ricorre sottilmente in varie forme emotive: l’assenza della figura paterna e la partenza del figlio Tom alla fine del dramma sono sinonimi della comune fuga alla ricerca di una vita autentica, esperita nel viaggio, e dell’esigenza interiore di porre una distanza geografica fisica da un passato doloroso; la nostalgia di Amanda per la sua giovinezza lungo le rive del Mississippi sono un aspetto del fenomeno emigrazione che porta in grembo la conseguente sensazione di totale sradicamento e non appartenenza, la chiusura, ma anche l’opposta volontà di allontanarsi e cambiare. In questo senso a mio avviso si racchiude l’essenza poetica della dichiarazione fondamentale ‘Il dramma è memoria, poiché è il ricordo dell’esperienza vissuta che costituisce gran parte dell’indole di una persona: le grandi gioie e il lungo dolore si sedimentano e condizionano il suo relazionarsi con il mondo e la sua emotività, come pure la sua presa di coscienza e l’emergere dei desideri quali mancanze.

Questa angolazione psicologica sul dramma rivela un’attuale e profonda indagine delle dinamiche familiari e dei nodi genealogici dolorosi nella loro tendenza ad iterarsi e apre un’interessante riflessione sull’essere attivi o passivi e sui ruoli maschile e femminile nella società moderna: il peso morale di norme educative rigide e sorpassate e la paura del pregiudizio; la forza e la capacità del singolo di mantenere un contatto con una realtà che delude per non essere sognatori prigionieri nella memoria.



Il progetto scenografico

In questa chiave di lettura ho pensato una trasposizione televisiva de Lo Zoo di Vetro: una visione da lontano che valorizza i confini dello studio televisivo come lo spazio dato ad un sognoOmaggio-a-Lo-Zoo-di-Vetro-frame21.  In esso lo spettatore è invitato a riflettere attraverso il diretto appello di Tom, attore e narratore, e mediante l’uso della scenografia che si maschera di semplicità per suggerire dense e rarefatte atmosfere della memoria, quindi prive del superfluo, ma cariche di sfumature di luce e di oscurità, dove il colore assume valenza simbolica.

Le indicazioni scenografiche di Tennessee Williams sull’appartamento dei Wingfield sono un libero spunto per concentrare fisicamente l’azione attorno a due elementi essenziali: una piattaforma rettangolare a tre metri e mezzo dal suolo, a cui vi si accede tramite una rampa di scale e una piattaforma più piccola di raccordo; una grande scala antincendio, obliqua rispetto al lato corto della prima, che si eleva verso l’alto con diverse rampe ad U.

La piattaforma rappresenta l’appartamento dei Wingfield ed è priva di muri perimetrali, sostituiti idealmente da una leggera struttura di pali in ferro, nei punti nodali; è completamente ricoperta da un gioco di piastrelle esagonali; una parete di tela bianca la divide a metà parallelamente al lato lungo: su di essa un’apertura quadra alta tre metri con una cornice di legno bianco è la via di comunicazione fra due aree ipotetiche, il soggiorno e la cucina – sala da pranzo, come pure tra due mondi. In ognuna l’arredamento è semplice e sobrio e per lo più in gradazioni chiare; un’altra caratteristica dei mobili è l’assenza del colore, a favore di una vasta gamma di grigi.

In una zona quindi si distribuiscono un divano con fodera a tenui ricami floreali, un alto comodino scuro con un grammofono e un tavolino bianco con una macchina da scrivere e una sedia; scintillanti animaletti di cristallo pendono da un’invisibile rete ancorata alla struttura di pali metallici: questa scelta paragona lo zoo di vetro ad una costellazione di stelle e suggerisce la lontananza dell’universo creativo di Laura, paralizzato nella contemplazione e nella sfera della sua fragile infanzia.Omaggio-a-Lo-Zoo-di-Vetro-frame12famiglia

Nell’area cucina – sala da pranzo l’arredo inneggia al bianco e con esso all’assenza; si compone infatti soltanto di un tavolo circolare con quattro sedie, sul cui centro pende uno squallido lampadario, di un piano cottura con cappa e di una porta che dà sul nulla.

La piattaforma sopraelevata è sostenuta da una serie di alti pilastri e travature in ferro, che nel loro susseguirsi rimandano l’illusione di un anonimo ambiente pubblico metropolitano, denso di ombre.

La grande scala antincendio si erge in altezza più di quanto la piattaforma si dilata in orizzontale; poeticamente simboleggia un ponte fra sogno, inconscio e realtà, condensa il desiderio di fuga ed esprime nel movimento in essa implicito l’essenza stessa della vita. Per questo motivo è un elemento slegato dall’appartamento: si avvicina ad esso con
l’estremità di un pianerottolo, ma non c’è collegamento fra le due costruzioni. Sulla piattaforma infatti le proporzioni e le tonali
tà, nonché il vuoto intorno, suggeriscono metafisiche atmosfere cariche di sospensione onirica e di surreale illusione.

Registicamente il sapore di una scena è fortemente determinato dalla fotografia morbida e soffusa sugli attori, dal taglio deciso delle ombre negli ambienti
e sicuramente dall’uso delle proiezioni che concorrono in maniera fondamentale nel completare la scenografia: nell’equilibrio della messa in scena infatti, esse sono una delle poche fonti di colore; quest’ultimo si rivela intenso e simbolico: appartiene per eccellenza ai cieli video proiettati, quasi a sottolineare la voglia di libertà latente di Tom oppure la lontananza e la fuga del padre; il rosso è il colore della passione, condensata nel ritorno delle rose, o della collera, durante il litigio; il blu quasi elettrico, per surrealtà e dimensione di sogno, rappresenta la solitudine di Laura e l’intimità con il suo zoo di vetro, nonché la profondità della notte, dell’inconscio. L’insistenza del bianco e nero invece sottolinea il persistere della memoria, come un ritratto pregno di ricordi.


Note di regia sui personaggi

Le riprese e le sequenze si legano psicologicamente al soggetto inquadrato adattando i movimenti di macchina al carattere del personaggio o alla situazione drammaturgica.

Omaggio-a-Lo-Zoo-di-Vetro-frame31Tom, e in misura marginale anche Jim, il visitatore, è l’unica figura attiva del dramma: rivestendo anche il ruolo del narratore si pone in rapporto dialettico con se stesso e lo spettatore. Ne deriva che è il solo personaggio ad usufruire di tutto l’allestim
ento scenografico: sulla piattaforma emerge la sua crisi interiore nelle relazioni stravolte con la madre e la sorella; fra i pilastri sottostanti ribollono le sue pulsioni inconsce, mentre sulla scala antincendio si verificano le sue lucide prese di coscienza. Il movimento e le lunghe fughe prospettiche caratterizzano questo personaggio, evidenziando il
 suo desiderio di partire, di allontanarsi, di dimenticare, ma anche condensando nei colori la sua tensione creativa espressa dal suo amore per la poesia.

La regia nei suoi confronti si orienta in direzione interno – esterno, cioè in un senso di apertura: le visioni di Tom infatti sono sicuramente quelle più legate alla realtà, in una dimensione interiore tesa verso il futuro e nuove esperienze.

Laura è il contrappunto femminile di Tom e l’occhio registico su di lei è totalmente introspettivo; fa eco quindi un vettore opposto, esterno – interno, che
si riflette in poetiche immagini intime dello zoo di vetro, specchio della sua fragile anima. La coscienza di questo personaggio è paralizzata emotivamente ad uno stadio infantile; nel dramma si evolve, attraverso tre rotture profonde con le figure maschili, da una paludosa staticità ad una consapevole rassegnazione alla propria debolezza e passività. Le tre tappe della sua implosione sono: innanzitutto l’abbandono del padre
nel passato; poi la disillusione nell’amore portata da Jim; infine la partenza del fratello, quale condanna alla solitudine.

Alla timidezza e alla chiusura di Laura si contrappone l’impulsività e la petulanza della madre. In Amanda una grande forza e convinzione nella vita sono prigioniere del suo atteggiamento nostalgico per la sua gaia adolescenza e di un probabile rimorso per un ‘tragico errore’ commesso in gioventù. L’ansia dell’abbandono si manifesta nel suo essere soffocante e spesso marcatamente inclinata verso una dimensione material
e dell’esistenza, sorda all’ascolto delle vere esigenze dei figli. Tutta la sua distrazione è sottolineata durante i vaneggi dei ricordi dalle proiezioni che si animano come descrizioni superficiali e ambigue di un passato lontano ormai avulso dalla realtà.

La figura paterna non ha nome e per questo motivo nell’allestimento si presenta come una proiezione a foggia di grande ritratto sulla parete divisoria della piattaforma; qui appare e scompare nei momenti significativi del dram
ma, rendendo pesante la sua assenza e insinuando l’ironia beffarda della sorte con il suo sorriso. Egli porta il reale carico di debolezza e di mancanza di volontà, trasmesso a Laura, e la stessa smania di fuga che erediterà Tom, suscitata da chissà quale soffocamento psicologico subito in un remoto passato che è dato solo supporre.

La conclusione è un’iterazione del ciclo genealogico e rinsalda come roccia, a dispetto della separazione fisica, il legame emotivo dei due fratelli, relegandolo per sempre nel suggello della memoria.



Le fonti d'ispirazione e d'omaggio

L’orientamento estetico generale si sofferma sul senso di solitudine e sulla dimensione riflessiva dell’esistenza; la resa della sospensione e dell’immobilità di alcune situazioni drammaturgiche trova lontane radici pittoriche nella metafisica di De Chirico, mentre la disillusione nella quotidianità, le atmosfere rarefatte e la malinconica desolazione interiore persa nella frenetica vita cittadina si imparentano strettamente alle visioni cinematografiche dei dipinti di Edward Hopper, quali, fra gli altri, New York Movie (1939) e il famoso Nighthawks (1942).

Il cinema nella pièce possiede una doppia valenza. Per quanto riguarda i contenuti e la simbologia interna, rappresenta lo ‘zoo di vetro’ di Tom, ovvero la sua via di fuga dallo squallore della quotidianità, ma anche la sua gabbia, come di molti altri in quegli anni

La gente invece di muoversi va al cinema! I personaggi di Hollywood hanno le avventure di tutti gli uomini d’America e tutti gli uomini d’America si seggono in una sala buia e guardano quelli che hanno le avventure.

Da un punto di vista estetico contemporaneo invece, il cinema diventa un riferimento storico, nella resa delle atmosfere e degli ambienti, e una citazione più o meno sottile di inquadrature, di
sagome e di debiti ideali nella fase di creazione come in quella del montaggio.

Sicuramente le prospettive di desolati viali urbani americani de Il bacio dell’assassino (1955) di Stanley Kubrick sono state fonte di preziosa ispirazione per il personaggio di Tom. Dello stesso illustre regista, Lolita (1962) è stato un magistrale esempio di movimenti di macchina in interni, da una stanza all’altra attraverso le pareti.

Il palpito popolare della città americana dagli anni ‘20 ai ’40 è stato lungamente meditato attraverso una serie di famosi film contemporanei: entrambi di Francis Ford Coppola, Il Padrino (1972), la cui vicenda inizia nell’immediato dopoguerra, e Il Padrino – Parte seconda (1974), i cui flash-back sul passato di Vito Corleone hanno luogo nella Little Italy dei ruggenti anni Venti; C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone è un riferimento importante per scorci prospettici e arredamento, ma anche e soprattutto per quel senso nostalgico di un passato ormai irrimediabilmente perduto e chiuso nel ricordo; The Aviator (2003) di Martin Scorsese costituisce più che altro una risorsa di accorgimenti registici e stilistici, per la cura nel sottolineare lo stato d’animo psicologico del protagonista miliardario, interpretato da Leonardo Di Caprio.

Se le pellicole citate attualizzano lo sguardo su quei decenni, alcuni film dell’epoca sono stati un punto imprescindibile per afferrarne l’autentica atmosfera: alcune visioni notturne metropolitane di Scarface (1932) di Howard Hawks; il fermento del mondo della stampa e le angolazioni ardite delle inquadrature di Orson Welles in Quarto Potere (1939 - 1941).

Ninotchka (1939) di Ernst Lubitsch, Il bacio della pantera (1943) di Jacques Tourneur e Notorius – L’amante perduta (1946) di Alfred Hitchcock sono stati la base per la costruzione delle figure femminili ne Lo Zoo di Vetro: la fredda semplicità di Greta Garbo, un binario guida per l’atteggiamento e le vesti di Laura; la passionalità e l’impulsività di Ingrid Bergman, nonché l’aria infantile di Simone Simon, un filo conduttore per il personaggio di Amanda.Tutti e tre i film inoltre, seppure con evidenti diversità di stile e di obiettivi, sviscerano la crescita interiore di donne private dell’esempio di un’equilibrata figura paterna e alla disperata ricerca del vero amore e del riscatto di se stesse attraverso il rapporto con un uomo, che non mascheri l’insicurezza dietro il velo dell’assenza.